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Siamo un Paese all’asta: 245.000 esecuzioni ancora aperte. Ecco chi ci guadagna

Potremmo definirci un Paese all’asta. Mentre le banche, con i tassi in picchiata, propongono mutui per acquistare casa impensabili fino a qualche anno fa, il posto fisso è sempre più raro e di conseguenza sempre più rischioso il vincolo di un prestito a lungo termine. La contabilità fa impressione. Al 2018 si sono accumulate 245.100 esecuzioni immobiliari, il 19,46% solo in Lombardia, il 78% ad uso residenziale.

Considerando che sul mercato sono state vendute 578.646 abitazioni si può dire che sul lungo periodo una percentuale altissima finisce all’asta perché il compratore non riesce più a pagare le rate del mutuo. I pignoramenti degli ultimi cinque anni hanno coinvolto almeno 1,2 milioni di italiani. E quella casa comprata con i sacrifici di una vita, quando entra nel girone delle esecuzioni immobiliari, sopratutto se si trova nelle periferie, finisce per perdere oltre la metà del valore.

 

La legge che doveva sveltire i tempi

Partiamo dai numeri per orientarci in questo girone dove i database sono infiniti. La fonte più attendibile diventa un soggetto privato legato al gruppo Gabetti, cioè la Astasy, che ha costruito e sviluppato negli ultimi cinque anni un archivio sofisticato. Grazie ai big data è possibile confrontare i numeri delle aste prima e dopo il 2015, quando è entrata in vigore una norma voluta dal governo Renzi. Siccome le aste andavano spesso deserte e ingolfavano i tribunali, la ratio è stata quella di accelerare le procedure di vendita applicando da subito uno sconto. Ha finito, suo malgrado, per penalizzare i debitori.

 

Come si dimezza il valore di un immobile

Prima della nuova legge se un immobile valeva 100 mila euro, veniva prudenzialmente battuto a 110mila, ora viene battuto intorno ai 75mila, ma la legge 132 dà diritto all’offerente di presentare un’offerta più bassa del 25% (mentre prima non era consentito) cioè a 55/60 mila. Se l’asta va deserta, come continua ad accadere, viene riproposta a 55/60 mila con possibilità di offerte minime a 40/45 mila euro. Le perizie vengono redatte con il supporto di algoritmi di software in odore di conflitto di interessi, perché non di proprietà dei vari tribunali o del ministero della Giustizia, ma di società che detengono anche la pubblicazione di portali di settore come portaleaste.com, astegiudiziarie.it, asteimmobili.it, astalegale.net, o forum on line come in executivis.it che fanno migliaia di ore di formazione a magistrati e cancellieri. Se si escludono Milano, Torino, Roma, Firenze e Venezia, dove i prezzi restano alti, comprare all’asta significa entrare in un limbo di incertezza che favorisce solo chi acquista immobili per professione.

 

Perdi casa e resti con un debito residuo

L’esito lo sintetizzano con identità di giudizio sia la Astasy che Favor Debitoris: «Ormai assistiamo a uno sconto medio del 55% rispetto al valore di acquisto sul libero mercato. Significa che su 100 mila euro il debitore porta a casa solo 45mila euro, a cui va tolto mediamente un altro 33% fra compensi agli intermediari e spese di giustizia. Alla fine resta una cifra quasi sempre inferiore alla quota capitale rimasta pendente». Mirko Frigerio di Astasy calcola che l’ex proprietario, oltre a perdere l’immobile, «resti ancora con un debito residuo mediamente intorno ai 30mila euro». A quel punto scatta il rischio del pignoramento del conto corrente e di altre proprietà aggredibili, soprattutto se ereditate (auto, moto) da genitori ex garanti nel frattempo defunti. Inoltre il debitore verrà segnalato alla centrale rischi ed etichettato come cattivo pagatore, quindi nessun istituto gli farà più un prestito. Però il debito resta vita natural durante, perché la prescrizione si completerebbe dopo 10 anni, come prescrive il codice di procedura civile, ma la banca difficilmente abbandona la partita, come rileva Giovanni Pastore, tra i fondatori dell’associazione Favor Debitoris: «Il debitore è come il maiale per i contadini, non si butta via niente, e quel debito residuo viene a sua volta venduto, con una valutazione di circa l’1% del valore nominale, alle società di recupero credito, specializzate nello spolpare le ossa». Ovvero le ossa di persone abbandonate al credito gestito dalla criminalità «che si fanno banca erogando credito a tasso concorrenziale con quello bancario», spiega l’ex procuratore nazionale antimafia Roberti. In altre parole: finiscono nelle mani dei «cravattari».

 

Ci perdono tutti tranne le società immobiliari

Rientrano in questa tipologia i figli che ereditano i debiti dei genitori, divorziati, chi ha perso il lavoro, i piccoli commercianti travolti dall’ecommerce, le partite Iva che hanno il torto di ammalarsi. Colpa di una macchina di recupero crediti inefficiente e spietata, costruita dallo Stato e per colpa dello Stato, dove ci perdono tutti, tranne l’infinita pletora di periti, avvocati, valutatori, delegati alla vendita per conto dei 140 tribunali d’Italia. Ma soprattutto ci guadagnano, e tanto, le società immobiliari che, approfittando di «gare al massimo ribasso» comprano per un tozzo di pane e poi rivendono a prezzo mercato.

 

 

All’asta si può riciclare il denaro

A complicare il quadro, che intasa ulteriormente i tribunali, le novità delle aste telematiche, alcune delle quali sono asincrone e permettono i rilanci a distanza di tempo, generando contenziosi infiniti, che si verificano anche quando l’asta telematica è sincrona mista, poiché consente contestualmente i rilanci sia live sia da remoto. Spesso la tecnologia si blocca e la connessione anche, innescando inevitabili sospensioni della procedura e interpretazioni giurisprudenziali infinite. Inoltre il sistema delle aste attualmente in vigore si configura come un meccanismo perfetto per pulire il denaro sporco, favorito da una «vacation» nella normativa che consente di non verificare la provenienza dei fondi neanche al saldo della vendita. Ad oggi infatti le esecuzioni immobiliari non hanno il controllo del denaro circolante e non avviene nessuna verifica antiriciclaggio.

 

La ‘ndrangheta compra con bonifici esteri e prestanome

Molte società aprono finte ragioni sociali all’estero, poi avviano una succursale italiana che provvede all’acquisto pagando con bonifici che provengono per esempio da Malta, Lussemburgo o altri paradisi fiscali. A quel punto neanche la Banca d’Italia riesce a intervenire. Soltanto attraverso una richiesta di rogatoria internazionale, alla quale non sempre i Paesi rispondono, sarebbe possibile verificare l’origine del denaro. La Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia ha recentemente sequestrato alla ‘ndrina calabrese Grande Aracri di Cutro 146 appartamenti nel parmense e nel nord-est. Tutti comprati all’asta utilizzando dei prestanome e con bonifici esterovestiti. A Tempio Pausania e Livorno sono finiti agli arresti giudici e periti perché avevano costruito un sistema di turbative d’asta a danno dei potenziali acquirenti. L’avvocato Biagio Riccio, presidente di Favor Debitoris, sostiene che sarebbe sufficiente che il Mef o l’Agenzia delle Entrate emanassero una circolare con la quale si chiede di inserire all’articolo 586 del codice di procedura civile, tra le parole «Avvenuto il versamento del prezzo» e «pronunciare decreto» le seguenti quattro righe: «Il Giudice dell’Esecuzione deve sospendere la vendita quando appare che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello di mercato, ovvero quando la provenienza del pagamento appaia illecita». Fra le migliaia gli emendamenti proposti nelle norme in approvazione a fine anno, si troverà la volontà politica?

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Introduzione

Immobiliare
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Il Tribunale aveva ritenuto il licenziamento illecito

Il caso era quello di un lavoratore che doveva assistere la madre invalida ma che non si era recato neppure nella sua abitazione. Tra le varie agevolazioni e diritti previsti in caso di disabilità, i cosiddetti permessi da legge 104 sono tra le misure più utilizzate ed utili. Si tratta di permessi lavorativi retribuiti concessi tanto al lavoratore con disabilità grave (ai sensi della legge 104, articolo 3 comma 3), quando al familiare che debba prestare assistenza o comunque supporto a un congiunto con grave disabilità certificata.

Nonostante si tratti di una agevolazione che si prefigge di alleviare in parte lo sforzo e l’impegno dei familiari che si occupano di persone con bisogni assistenziali, capita a volte che questi permessi vengono utilizzati impropriamente, registrando degli abusi nella loro fruizione. E’ il caso del lavoratore che utilizzava i permessi per seguire la squadra del cuore in trasferta, ad esempio. In questi casi il licenziamento del lavoratore né legittimo.

A questo proposito, segnaliamo una recente ordinanza della Corte di Cassazione, pubblicata il 16 giugno 2021, (ordinanza n. 17102, Sez.VI ), relativa proprio al licenziamento di un lavoratore che aveva utilizzato i permessi della Legge 104 in un modo che l’azienda datore di lavoro riteneva non coerenti allo scopo degli stessi.

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Controversie da ritardo, cancellazione e negato imbarco

In un mondo sempre più veloce e connesso, il danno conseguente al ritardo ovvero alla cancellazione o al negato imbarco per overbooking, costituisce un aspetto importante del rapporto contrattuale tra passeggero-consumatore e vettore aereo.  Nell’approfondire questa tematica, è dunque necessario in primo luogo esaminare quali siano le normative applicabili in materia di voli internazionali.  Nel contesto infracomunitario, il più recente ed esaustivo intervento normativo in materia è rappresentato dal Reg. CE n. 261/04.  Detto Regolamento è applicabile ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato in uno Stato membro, nonché ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato in un Paese terzo con arrivo in un aeroporto situato in uno Stato aderente all’UE.  É dunque sufficiente, ai fini dell’applicabilità di tale normativa, che il danno origini da un volo internazionale che abbia avuto come partenza o destinazione uno dei Paesi membri dell’Unione Europea, a prescindere pertanto dalla nazionalità comunitaria, tanto del passeggero quanto della Compagnia aerea responsabile del contratto di trasporto.

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Accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo

Nell’ambito del diritto bancario e gli accordi di ristrutturazione assumono un rilievo centrale nella promozione del rilancio dell’attività d’impresa. Tali accordi sono uno strumento mediante il quale le aziende possono delineare un piano di ristrutturazione del debito da sottoporre all’approvazione dei creditori per superare una crisi aziendale.

In questo periodo è sempre più frequente che le aziende, a causa della crisi di numerosi settori produttivi dovuti alla pandemia in corso o agli effetti del blocco dei licenziamenti, si trovino ad affrontare crisi di liquidità che appaiono irreversibili. In tale contesto, assumono particolare rilievo due degli strumenti di soluzione alla crisi d’impresa offerti dall’ordinamento, al fine di impedirne la cessazione o, persino, il fallimento e, segnatamente, la ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo.

Per individuare lo strumento più idoneo, tra quelli in esame, a tutelare le ragioni aziendali, ne analizzeremo brevemente i principali elementi in comune e vantaggi e le criticità prevalenti. Per l’avvio della procedura relative sia agli accordi di ristrutturazione del debito aziendale che al concordato preventivo occorre presentare un piano in Tribunale, dai contenuti sostanzialmente analoghi e, tanto in un caso quanto nell’altro, una volta depositata la proposta, si ottiene il blocco delle azioni esecutive e cautelari e la scadenza dei debiti pecuniari, per i crediti anteriori alla procedura. Inoltre, in entrambe le procedure si può ricorrere alla transazione fiscale ex art. 182 ter della Legge fallimentare.

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